UN SEMPLICE ESERCIZIO DI MEDITAZIONE

Il fenomeno della coscienza

Il nostro cervello sviluppa, accanto alle sue funzioni fisiologiche, anche una attivita' di natura astratta. Quest'ultima, identificabile nel sistema mentale, porta ad attivare una specifica qualità individuale che riconosciamo come "coscienza". Essa rappresenta una esperienza propria di ciascun individuo e si pensa che possa essere estesa a tutte le forme di vita esistenti sul pianeta.
E' difficile stabilire che cosa sia esattamente la coscienza. Alcuni ricercatori moderni hanno ipotizzato che essa possa rappresentare una delle sfide della scienza ancora da risolvere. Le neuroscienze portano a considerare che la coscienza non sia altro che una risultante dei processi psichici del cervello che ci dà l'illusione di percepirci allo scopo di poter gestire la nostra dimensione individuale per finalità di sopravvivenza.
In ogni caso la coscienza è uno stato reale della nostra percezione individuale che possediamo e che possiamo utilizzare al meglio, secondo tutte le sue possibilità. Siano esse funzionali o che si estendano oltre ai voncoli del sensibile. Sta a noi sperimentare e verificare il significato esperienziale della coscienza.
Il nostro stato di coscienza manifesta un insolito fenomeno. Anche se nasce dalle attività astratte del cervello, essa può sottrarsi alle sue direttive fisiologiche e agire in una modalità di libero arbitrio che può portare, in casi estremi, anche al sovvertimento del principio di sopravvivenza.
Accade che la nostra percezione di esistenza è solitamente legata alla percezione del nostro corpo oppure al pensiero e alle emozioni. Ma se ci mettiamo in relazione con un cielo stellato, allora cadiamo in una vertigine che porta a relativizzare le sensazioni del nostro corpo e della nostra mente. E' come se si attivasse una nostra identità che si rapporta con una qualità di esistenza al di là dell'ordinario e che manifesta, anche se per pochi attimi, l'esigenza inderogabile di valori al di fuori del consueto, che oscurano il vissuto quotidiano.
Secondo i Popoli naturali la nostra coscienza è ordinariamente coinvolta dai valori soggettivi proposti dai sensi corporei e dalle emozioni della mente. Questi valori effimeri producono un disagio esperienziale impedendo di vivere in armonia nella conoscenza del Mistero che anima l'esistenza.
Solitamente l'individuo non vive la lucidità del proprio stato percettivo di coscienza, ma confonde quest'ultimo nella sovrapposizione delle attività della mente. Se è facile riconoscere un dolore fisico come parte del proprio corpo, avulso dalla propria identità interiore, non avviene solitamente la stessa cosa per le emozioni e i pensieri: questi sono interpretati come parte di se stessi, permettendo che funzioni che nulla hanno a che fare con la natura e le proprietà della coscienza ci coinvolgano.
Solo quando la coscienza si sottrae dalle pulsioni del corpo e della mente si può realizzare una piena esperienza di sé. Per poterlo fare, la meditazione propone il postulato di tacitare le pulsioni della mente e del corpo per lasciare che la coscienza trovi la sua reale dimensione percettiva.

Sottrarsi alla suggestione della mente

Il metodo più semplice per ottenere la tacitazione del corpo e della mente consiste nel mantenere il proprio stato di consapevolezza senza farsi distrarre dalle pulsioni fisiche e mentali per prendere atto della propria reale natura cosciente e mantenerla come tale.
E' l'esercizio che i Popoli naturali definiscono il "rifiuto dei pensieri". Per realizzare questa esperienza occorre predisporsi a non ascoltare le pulsioni che giungono dal corpo (stanchezza, fame, ecc.) e quelle della mente.
In questo ultimo caso l'esercizio può rivelare qualche difficoltà poichè, se è abbastanza facile sottrarsi al richiamo delle sensazioni del corpo, è molto più difficile "separarsi" dalle pulsioni mentali considerate parte del nostro stato d'essere.
Ad esempio, se ci pervade un senso di tristezza, anche se immotivata, consideriamo questo stato d'animo come nostro stato d'essere reale. Allo stesso modo, se ci capita di "pensare" di compiere una qualsiasi azione, identifichiamo questo pensiero come il riflesso del nostro stato percettivo di coscienza.
Purtroppo, così come accade per il corpo, anche la mente fa emergere dal profondo centinaia di occasioni in cui coinvolgerci nostro malgrado, limitando così l'esercizio della vera natura della nostra coscienza.
Quello che dobbiamo fare in questo esercizio è rifiutare tutta la produzione della mente come se non ci riguardasse e non ci appartenesse sul piano della coscienza.
E non si tratta di una "rimozione" psicologica di sensazioni, emozioni e pensieri, ma semplicemente si tratta di lasciare che questi si producano senza ascoltarli. Non dobbiamo inibire la loro manifestazione, cosa che altrimenti andrebbe a complicare la meccanica del profondo, ma rifiutare di ascoltarla.
E' come se ci trovassimo seduti su una spiaggia in riva ad un mare agitato. Le onde possono anche raggiungerci, qualcuna sarà tanto grande da sommergerci per pochi istanti. Ma noi siamo sempre lì. Non rinneghiamo il grande mare e la sua forza immensa contro cui possiamo fare ben poco, ma lasciamo che le onde ci superino, illuminati e asciugati dallo splendente sole che dall'alto ci illumina e ci ricorda, anche a fronte dell'impetuoso mare, che la realtà è l'intero pianeta e che noi siamo la vita che l'abita.

Vivere al di fuori della mente

Quante volte ci siamo trovati a mediare la nostra vita quotidiana con una soffocante "verbalizzazione" interiore che preannunciava interiormente quanto stavamo per dire o per fare? Quante volte abbiamo vissuto la nostra esistenza in "differita" nei confronti degli altri, non riuscendo a prevenire a tempo le loro azioni o senza permetterci di capirle in tempo utile?
Quante volte abbiamo provato disagio in una situazione poco gratificante, o in preda alle nostre possibili fobìe?
L'esercizio del "rifiuto dei pensieri", pur nella sua apparente semplicità, può portarci a evolvere il nostro stato percettivo di coscienza, a migliorare concretamente la nostra vita e a renderci effettivamente liberi dalle patologie del nostro profondo.

La meditazione nella Tradizione

Se vogliamo sviluppare meglio le potenzialità di questo esercizio possiamo eseguirlo seguendo la prassi tradizionale della meditazione.
Sciegliamo innanzitutto un qualsiasi posto che ci possa piacere, dove ci sentiamo a nostro agio e ci sia quiete, senza essere esposti a disturbi determinati da altre persone o da agenti atmosferici indesiderati. Quindi ci sediamo in terra, incrociando le gambe davanti a noi e ponendo i palmi delle mani sulle ginocchia.
Eseguiamo quella che viene definita come la "postura" della meditazione, come da milioni di anni hanno fatto e fanno gli uomini che cercano di entrare in contatto con la natura segreta del Mistero che anima e dà significato alla nostra esistenza e a quella dell'intero universo, e che ha lo scopo di darci stabilità nel corso dell'esercizio e di fungere da riferimento esperienziale sottraendoci alla consuetudine del vissuto quotidiano.
Lasciamo che la colonna vertebrale stia diritta senza dover fare alcun sorzo e chiudiamo gli occhi prendendo a respirare quietamente, in maniera profonda e regolare. Iniziamo l'esercizio del "rifiuto dei pensieri".
A seguito di più tentativi ci si accorgerà che il nostro stato di coscienza diventa sempre più lucido e riusciamo a sviluppare una forte identità, uno stato di essere e di potere.
A questo punto ci affacceremo ad una ulteriore esperienza costituita da un profondo silenzio interiore dove possiamo scorgere e vivere la conoscenza di quanto può dare la risposta ai bisogni di ciascuno di noi.
L'esercizio della meditazione è tuttavia appena all'inizio. Adesso il meditante può sciogliersi dalla sua postura e alzarsi per tornare nel suo quotidiano e portarlo, con la sua esperienza, alla realtà dell'Invisibile, saldando l'apparenza sensoriale della materia alla realtà e vivere in tutta la sua completezza esperienziale l'immanenza del Mistero.
I Popoli naturali, per poter realizzare senza difficoltà la meditazione, propongono l'applicazione della prassi esperienziale detta delle "Tre Esortazioni" che possono prevenire gli ostacoli che ostacolano la sua attuazione: Asseconda le giuste esigenze del corpo, Asseconda le giuste esigenze della mente e Asseconda la vera natura dello spirito.
Inutile dire, per fare un esempio che riguarda la prima Esortazione, che se si asseconda il corpo nei suoi bisogni, quali il corretto riposo, la corretta alimentazione, il giusto esercizio fisico, la giusta terapeutica dei problemi funzionali del proprio corpo, ecc. ci si può predisporre a fare meditazione senza essere disturbati dalle disfunzioni corporee e realizzare una completa e disimpegnata esperienza di conoscenza.